I piani individuali di risparmio sono una forma di investimento relativamente nuova, introdotta dalla legge di bilancio per il 2017 e incentivata fiscalmente. Se i Pir sono nuovi per noi, in realtà esistono già in Francia e Inghilterra da diverso tempo, e il successo riscosso in questi Paesi ha fatto sì che il Governo di quell’anno decidesse di importare la formula anche in Italia.

Possiamo definire i Pir come contenitori giuridici di varie forme (dai fondi ai conti titoli, ad esempio) al cui interno si trovano prodotti finanziari di diversa natura (azioni, ETF, obbligazioni ed altro), sebbene, come vedremo tra poco, la miscellanea sia soggetta a limitazioni previste dalla legge.

A chi sono destinati?

I Pir, in breve, si propongono di incanalare i risparmi privati verso le piccole e medie imprese. Si rivolgono ad investitori retail, con l’obbligo che siano persone fisiche e individuali. Ciò significa che un’azienda o un’impresa non potrà aprire un Pir, che risulta quindi un prodotto dedicato agli investimenti fuori dall’esercizio d’impresa, né è possibile cointestarlo.

Al momento è necessario, inoltre, che l’intestatario sia maggiorenne: non si può dunque intestare un piano individuale di risparmio per un figlio minorenne. Altra limitazione è la non ripetibilità. Nel corso della propria vita si potrà avere un solo piano individuale di risparmio.

Vantaggi fiscali

Il primo, grande incentivo per cui i risparmiatori dovrebbero investire sui piani di risparmio individuali riguarda la detassazione, che è comunque soggetta ad alcuni limiti imposti dalla legge e di cui parleremo a breve.

In primis, i Pir sono esenti dalle imposte sul capital gain e sui rendimenti normalmente piuttosto salate (12,5% sulle cedole e utili relativi a titoli di Stato e 26% su azioni e obbligazioni). Altra tassa abbuonata è quella sulla successione.

È chiaro che questi benefici vanno sia nella direzione dell’investitore sia in quella del Pir stesso, che mostrerà performance migliori rispetto ad altri fondi per cui invece è dovuta la prassi fiscale sopra citata.

Attenzione: per usufruire degli incentivi è necessario è essere residenti in Italia. Se ci si trasferisce all’estero, questi decadono, ma non retroattivamente. Ad esempio, se ho un Pir da quattro anni e domani mi trasferisco, poniamo, in Francia, e tengo comunque il mio investimento per un altro anno, non perdo l’esenzione fiscale del periodo in cui sono stato in Italia. Pagherò le tasse soltanto per l’ultimo anno. Come si nota, il requisito del mantenimento quinquennale è sempre presente.

Costi e durata

In realtà i Pir non hanno una durata minima e massima, ma se si vuole godere delle agevolazioni fiscali occorre tenerli almeno per cinque anni. È infatti dopo questo arco di tempo che scatterà il vantaggio sulle tasse. Se si disinveste prima, insomma, si pagheranno le tasse esattamente come per qualunque altro tipo di fondo; il riscatto anticipato prevede inoltre gli interessi sulle rendite finanziarie maturate negli anni precedenti.

L’investimento minimo è di 500€, il massimo a 150.000€; lo sgravio fiscale è tuttavia valido solo su 30.000€ l’anno. I versamenti possono essere rateizzati.

Composizione del Pir

Per potere essere definito Pir, il paniere deve avere una composizione specifica. In altre parole, ci sono dei vincoli di diversificazione e dei vincoli di concentrazione.

Riguardo la diversificazione, occorre che il 70% dei prodotti finanziari presenti nel piano si riferisca ad imprese italiane. Sono ammessi anche strumenti di aziende di altri paesi europei purché abbiano sede stabile sul suolo italiano.

Di questo 70%, il 30% (che è poi il 21% del portafogli) deve essere investito su azioni o altri strumenti emessi da imprese differenti rispetto a quelle che si trovano allocate al FTSE Mib di Borsa Italiana o in indici equipollenti di altri mercati finanziari. Ciò garantisce la destinazione degli investimenti verso le piccole e medie imprese, di solito quotate sui segmenti MidCap, Star, Standard o sul mercato AIM.

Il vincolo di concentrazione prevede invece che non oltre il 10% possa essere destinato alla medesima società né ad aziende facenti parte dello stesso gruppo.

Come aprire un Pir

L’investitore interessato ai piani individuali di risparmio è di fronte a due possibilità: affidarsi ad un pacchetto proposto da una società di gestione del risparmio o comporlo da sé. Vediamo i principali vantaggi e svantaggi di queste opzioni.

Innanzitutto, occorre badare ai costi: molte banche o istituti che si occupano di Pir applicano commissioni di sottoscrizione e gestione davvero elevate, di solito da 4 al 6%. Ciò renderebbe praticamente nullo il beneficio ottenuto dall’esenzione fiscale, o quanto meno ne ridurrebbe la portata. Approssimiamo dicendo che un Pir con performance del 5% può essere ritenuto vantaggioso se le spese non superano l’1,3%, che è la media di mercato. Nel caso in cui vengano proposte percentuali più alte, si badi bene a chiedere cosa giustifica costi così elevati. Magari ne vale la pena perché il Pir è costituito da ottimi prodotti, ma in finanza è sempre bene esigere il massimo della trasparenza.

Di contro fare da sé il proprio Pir può essere un guazzabuglio per via dei limiti e della necessaria diversificazione. Se si ha già una certa esperienza con gli strumenti finanziari è di certo una soluzione più economica rispetto a quella delle società di gestione, ma per un neofita il rischio è quello di includere società non performanti. In questo caso è sempre meglio affidarsi a professionisti del settore.

Conviene investire in Pir nel 2018?

Investire nei piani individuali di risparmio ha di certo molti aspetti positivi. In primi le già citate agevolazioni fiscali, che consentono di risparmiare ben il 26%, che è poco più di un quarto della rendita.

In seconda istanza, occorre porre l’accento sul fatto che dedicare i propri risparmi ad un Pir significa dare una mano alle aziende italiane, contribuendo a risollevare l’economia nazionale. Certo, per alcuni questo potrebbe al contrario costituire un aspetto negativo: la crisi economica, secondo qualche investitore, pone il cosiddetto “rischio Italia”.

In realtà è proprio grazie ai Pir che il rischio paese può essere limitato: investire in piccole e medie imprese italiane in un orizzonte temporale che abbiamo definito di medio periodo fa sì che si riduca l’atteggiamento tipico di chi alle prime discese dei titoli tende a vendere, lasciandosi trasportare dal panico.

Ci si dimentica, insomma, che i movimenti degli strumenti finanziari sono per forza di cose soggetti ad oscillazioni, e che se queste sono contenute non c’è motivo di allarmarsi. I Pir, che vengono tenuti per almeno cinque anni (pur non vigendo un limite è chiara la convenienza di un investimento che duri un lustro o più), fanno invece sì che ci sia maggiore stabilità, evitando il mordi e fuggi dannoso tanto per le aziende quanto, spesso, per i risparmiatori stessi.

Altra nota interessante riguarda i rendimenti. Poniamo ad esempio una performance del 5%. Dopo dieci anni avremo già un consistente 50%, e dopo 20 addirittura il 100%: questi numeri non sono neppure immaginabili in un altro tipo di fondo, perché anche se composto allo stesso modo risulterebbe decurtato dalla tassazione del 26%.

Rendimenti più remunerativi: Moneyfarm

Questi rendimenti sono comparabili con il sistema MoneyFarm, pluripremiato e 100% italiano. A differenza dei PIR, l’investimento minimo è minore (100€) e le commissioni sono inferiori. Inoltre, l’apertura di un conto è gratuita e senza impegno.

In conclusione

In definitiva i piani individuali di risparmio possono essere un’ottima strategia per investitori con basso profilo di rischio, dal momento che il paniere, con una buona gestione, può essere diversificato puntando su svariati settori.

Si tratta di una soluzione interessante, ad esempio, per integrare la pensione o assicurare una rendita ai propri figli. I Pir stanno, del resto, riscuotendo molto successo proprio perché, tolte le rigidità e i vincoli esposti, sono uno strumento flessibile e sicuro, che consente al contempo di aiutare le imprese italiane e di ricavare guadagni consistenti. Si pensi che lo scorso anno sono stati raccolti ben 10 miliardi grazie ai Pir, e le previsioni per il triennio 2018, 2019 e 2020 parlano addirittura di 50 miliardi.